Perché Trump vuole bloccare il Green Deal europeo

Più del 50% dell’export Usa in Europa riguarda i combustibili fossili: così Trump prova a frenare la transizione verde e proteggere l’industria americana

Luca Aterini, in un articolo pubblicato su GreenReport.it, analizza un aspetto poco discusso ma cruciale della politica internazionale ed energetica: oltre la metà delle esportazioni di beni dagli Stati Uniti all’Unione europea riguarda combustibili fossili e tecnologie legate al loro utilizzo. Una dipendenza commerciale che, dietro la retorica dei dazi e dei nazionalismi energetici, cela l’intento reale dell’ex presidente Donald Trump: impedire che l’Europa, accelerando sulla transizione ecologica, riduca la propria domanda di energia fossile statunitense e guardi sempre più verso la Cina per le nuove tecnologie verdi.
Nonostante il ritorno del trumpismo sulla scena politica americana, oggi meno del 50% dell’elettricità prodotta negli Usa proviene da fonti fossili, grazie al boom delle rinnovabili. Questo cambiamento in atto rischia di mettere in discussione il vecchio paradigma energetico americano, legato al motto “drill, baby, drill!”, rilanciato da Trump fin dal suo primo mandato. In questo contesto si inserisce la proposta di imporre dazi del 20% sulle importazioni Ue, attualmente sospesi, ma utilizzati come leva negoziale.

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Oltre la metà dell’export Usa è fossile

Così si tenta di frenare l’autonomia energetica europea

La bilancia commerciale tra Stati Uniti ed Europa è leggermente sbilanciata a favore di quest’ultima – nel 2023 il surplus europeo era solo del 3% – ma se si guarda nel dettaglio ai beni esportati dagli Usa, “più del 50% dell’export commerciale americano in Europa consiste in prodotti fossili, di combustibili o tecnologie di uso finale: petrolio greggio, prodotti petroliferi, motori, aviazione e gas”, come mostra uno studio del think tank Ecco.
Tutti settori che verrebbero messi in crisi da una rapida decarbonizzazione europea: per questo motivo, secondo Ecco, Washington ha proposto di rivedere la politica dei dazi in cambio di un maxi-acquisto di 350 miliardi di dollari di energia fossile, a partire dal gas naturale liquefatto (GNL).

Questa mossa mira a contenere l’autonomia strategica dell’Europa, sempre più orientata verso l’energia verde, e a rallentare la crescita dei rapporti commerciali con paesi come la Cina, oggi leader nella produzione di auto elettriche low cost, molto più accessibili rispetto alla statunitense Tesla. Il problema per Trump non è solo economico, ma geopolitico: perdere l’Europa significherebbe perdere una delle ultime roccaforti del gas Usa.

L’Ue vuole il Gnl Usa, ma non rinuncia al Green Dea

Secondo Ecco, nel 2019 l’Unione europea copriva il 60% del suo fabbisogno energetico tramite importazioni, percentuale scesa al 58% nel 2024 grazie alla spinta delle energie rinnovabili. “L’obiettivo non è solo ‘comprare il gas per ridurre lo sbilancio commerciale’ – spiegano dal think tank – ma imporre di acquistarlo nel lungo periodo, impedendo così all’Europa di costruire la propria indipendenza energetica e competitività”.
A oggi, Bruxelles e alcuni Paesi membri – come l’Italia – sembrano disponibili ad aumentare le importazioni di GNL dagli Stati Uniti, ma senza cedere sulle politiche climatiche. Secondo il commissario europeo per l’Energia Jorgensen, l’interesse per il gas Usa è reale, ma non verrà offerta alcuna flessibilità sul Green Deal. Una posizione che contrasta con quella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, più favorevole a un compromesso.

Il paradosso del gas russo

Infrastrutture europee già pronte, nuova domanda in calo

Nonostante l’embargo, l’import di gas liquido russo è cresciuto del 18% nel 2024 rispetto all’anno precedente. A rendere ancora più surreale il dibattito sull’aumento delle importazioni Usa è il fatto che, secondo Ecco, l’Europa non ha realmente bisogno di nuovo gas: “La domanda di gas in Europa e in Italia si è ridotta del 18% negli ultimi tre anni”, passando da circa 76 miliardi di metri cubi nel 2021 a meno di 62 nel 2024.

Secondo il report Stato del gas, le attuali infrastrutture esistenti – dai flussi da Algeria, Azerbaigian e Libia, alla rigassificazione e produzione nazionale – sono sufficienti a garantire la sicurezza energetica. Nuovi investimenti nel fossile rischierebbero di aumentare i costi per i cittadini, mentre l’efficienza energetica, l’elettrificazione e il calo industriale riducono la domanda. Continuare a puntare sui combustibili fossili, conclude Ecco, significherebbe sostenere spese inutili in un contesto di domanda in diminuzione e rinnovabili in forte crescita.

Fonte: GreenReport.it

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