I roditori hanno la pelliccia simile a quella del mammut lanoso. Un passo avanti nella de-estinzione o un esperimento rischioso?
Un gruppo di ricercatori della Colossal Biosciences ha ingegnerizzato geneticamente un topo per ottenere una pelliccia simile a quella del mammut lanoso. Il roditore presenta un manto folto, ondulato e dorato, risultato di una serie di interventi mirati sul suo DNA. L’azienda, nota per i suoi ambiziosi progetti di de-estinzione, sta cercando di riportare in vita specie scomparse come il mammut, il dodo e la tigre della Tasmania. Creare un topo con caratteristiche simili a quelle di un mammut rappresenta un importante banco di prova per testare l’efficacia delle modifiche genetiche.
Il processo di modifica genetica
Per ottenere il risultato desiderato, i ricercatori hanno analizzato il DNA di 121 mammut ed elefanti, individuando le differenze chiave tra queste specie. Successivamente, hanno selezionato geni legati alla crescita e alla struttura del pelo, al metabolismo lipidico e alla produzione di melanina. Grazie a tecniche avanzate di editing genetico, hanno modificato contemporaneamente otto segmenti di DNA del topo. Alcune modifiche hanno aumentato la lunghezza del pelo, mentre altre hanno reso il mantello più spesso e riccio. Un cambiamento nel gene della melanina ha conferito al roditore una colorazione dorata invece del solito nero.
Un risultato scientifico interessante, ma non rivoluzionario
“Questa è una prova di principio entusiasmante”, ha dichiarato Tom Gilbert, genetista evoluzionista dell’Università di Copenaghen e consulente del progetto. Ma non tutti gli esperti condividono lo stesso entusiasmo.
Secondo Louise Johnson, biologa dell’Università di Reading, “i ricercatori hanno orientato il genoma del topo verso quello del mammut, ma solo alcune mutazioni lo avvicinano realmente ai geni di quest’ultimo”. Per Henry Greely, bioeticista di Stanford, l’esperimento ha il “fattore tenerezza”, ma manca di una vera e propria portata scientifica straordinaria.
Il mammut è più vicino al ritorno?
L’obiettivo finale di Colossal Biosciences è modificare geneticamente gli elefanti asiatici, i parenti più stretti del mammut, per ottenere una specie simile a quella estinta migliaia di anni fa. Tuttavia, allevare e studiare elefanti è complesso e costoso. I topi, invece, sono più pratici: crescono rapidamente, si riproducono facilmente e il loro DNA è più semplice da modificare. Per questo, l’azienda considera il topo “lanoso” un passo fondamentale verso il primo mammut geneticamente modificato, che secondo i piani dovrebbe nascere nel 2028.
Etica e controversie sulla de-estinzione
L’idea di riportare in vita specie estinte è affascinante, ma solleva numerose domande etiche ed ecologiche. Alcuni scienziati mettono in dubbio la reale utilità del progetto.
Tom Gilbert non è convinto del suo valore pratico: “L’idea che il ritorno del mammut possa aiutare gli ecosistemi moderni è completamente infondata”. Altri studiosi temono che la de-estinzione possa distrarre dai veri problemi ambientali e spostare fondi preziosi dalla conservazione delle specie a rischio.
“Senza uno scopo chiaro, stiamo solo creando mostri in laboratorio”, ha dichiarato Douglas McCauley, ecologo dell’Università della California.
Il prossimo passo: test sulla resistenza al freddo
Nonostante le critiche, Colossal Biosciences prosegue nel suo progetto. Il prossimo esperimento sarà verificare se il topo geneticamente modificato abbia una maggiore resistenza alle basse temperature, caratteristica essenziale per un futuro mammut “ricostruito”.
Benjamin Lamm, CEO dell’azienda, è ottimista: “Questa piccola creatura ci sta fornendo indicazioni preziose sulle modifiche genetiche necessarie per riportare in vita il mammut”.
Il dibattito resta aperto: si tratta di un trionfo della biotecnologia o di un esperimento pericoloso con conseguenze imprevedibili?