Perdita dell’udito collegata al 32% dei nuovi casi di demenza

Lo stretto legame che preoccupa. I risultati di un’analisi condotta su quasi 3.000 anziani negli Stati Uniti

Un nuovo studio condotto da un team di ricercatori provenienti da più istituzioni accademiche statunitensi, tra cui la Columbia University, la Vanderbilt University e la Johns Hopkins University, ha messo in luce un dato allarmante: quasi un terzo dei nuovi casi di demenza senile potrebbe essere collegato alla perdita dell’udito. L’analisi, pubblicata sulla rivista JAMA Otolaryngology – Head & Neck Surgery, si basa su un’approfondita modellizzazione statistica applicata a dati raccolti su un campione di 2.946 adulti anziani tra i 66 e i 90 anni.

Lo studio è stato sviluppato nell’ambito dell’Atherosclerosis Risk in Communities Neurocognitive Study (ARIC-NCS), un vasto programma di osservazione a lungo termine che ha coinvolto partecipanti residenti in quattro diversi Stati americani. Tutti i soggetti erano privi di sintomi di demenza al momento dell’inizio dello studio. I dati sono stati raccolti tra il 2011 e il 2019, ma la valutazione uditiva – elemento centrale dell’analisi – è stata effettuata durante la visita 6, avvenuta tra il 2016 e il 2017.

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Ecco come è stato misurato l’udito e diagnosticata la demenza

Uno degli aspetti più rilevanti dello studio risiede nel metodo utilizzato per misurare la perdita uditiva. Oltre all’autovalutazione soggettiva dei partecipanti, i ricercatori hanno adottato un approccio oggettivo mediante test audiometrici con toni puri, in grado di rilevare deficit uditivi clinicamente significativi anche in assenza di consapevolezza da parte del soggetto.

La diagnosi di demenza, invece, è stata stabilita con una procedura rigorosa, basata su un algoritmo standardizzato che ha incluso test neuropsicologici, interviste a familiari o persone vicine ai partecipanti, e l’analisi delle cartelle cliniche. Secondo i dati raccolti, il 66,1% del campione presentava una perdita dell’udito clinicamente rilevante al momento della misurazione. Durante il periodo di follow-up, il 9,9% delle persone con perdita uditiva ha sviluppato demenza, rispetto al 4,7% di chi aveva un udito normale.

La stima statistica rivela un impatto maggiore del previsto

La parte centrale dello studio ha riguardato la stima della frazione di casi di demenza attribuibile alla perdita dell’udito, utilizzando una modellizzazione a livello di popolazione. Il risultato principale indica che il 32% dei casi di demenza senile potrebbe essere associato a una qualunque forma di ipoacusia diagnosticata tramite audiometria (con un intervallo di confidenza del 95% compreso tra l’11% e il 46,5%).

I ricercatori hanno poi suddiviso i dati per livelli di gravità della perdita uditiva, con risultati interessanti:

  • Perdita lieve (tra 26 e 40 decibel): 16,2% dei casi attribuibili (CI: 4,2%–24,2%)
  • Perdita moderata o grave (oltre 40 decibel): 16,6% dei casi attribuibili (CI: 3,9%–24,3%)

È bene notare che i margini di confidenza restano ampi, a indicare che la precisione della stima è ancora oggetto di incertezza statistica, ma i numeri suggeriscono comunque un ruolo potenzialmente decisivo della salute uditiva nella prevenzione della demenza.

Differenze per età, sesso e razza: i dati per sottogruppi

Un’ulteriore analisi ha riguardato le differenze tra sottogruppi della popolazione esaminata. Tra i partecipanti di età pari o superiore a 75 anni, la perdita uditiva potrebbe essere collegata a circa il 31% dei casi di demenza, con un intervallo di confidenza che va da -6% a 53%, suggerendo una forte variabilità e incertezza statistica. Lo stesso schema è stato osservato per quanto riguarda le donne (31%, con CI tra 6% e 47%) e i partecipanti bianchi (28%, con CI da -6% a 50%).

Questi ampi margini indicano che non è possibile trarre conclusioni definitive su differenze di rischio tra gruppi demografici. Le sovrapposizioni tra le fasce d’intervallo rendono i risultati non statisticamente significativi in termini di differenze tra uomini e donne, o tra diverse etnie.

Nessun legame evidente con l’autovalutazione della perdita uditiva

Un dato particolarmente interessante riguarda l’autovalutazione della perdita dell’udito. A differenza dei test audiometrici, i dati soggettivi non hanno mostrato una correlazione significativa con il rischio di demenza. Secondo gli autori, ciò è dovuto al fatto che molti anziani tendono a sottovalutare la gravità del proprio deficit uditivo, un fenomeno che rende queste valutazioni poco affidabili.

Per questo motivo, nel caso dell’autovalutazione, non è stato possibile calcolare una frazione di rischio attribuibile: il rapporto di rischio ottenuto era inferiore a 1, il che escludeva la possibilità di attribuire statisticamente dei casi di demenza a questa modalità di misurazione dell’ipoacusia.

Ma servono test precoci e metodi oggettivi

Lo studio non ha analizzato l’evoluzione nel tempo della capacità uditiva dei partecipanti. La misurazione della perdita uditiva è avvenuta in un singolo momento, prima che si manifestassero i sintomi della demenza. Tuttavia, gli autori sottolineano l’importanza di integrare valutazioni audiometriche nei programmi di prevenzione della demenza.

“Le stime cambiano sensibilmente in base al metodo di misurazione della perdita uditiva. Questo significa che per valutare con precisione l’impatto dell’ipoacusia sul rischio di demenza, è fondamentale basarsi su dati oggettivi”, si legge tra le conclusioni del lavoro.

L’analisi suggerisce che strategie di screening e trattamento dell’ipoacusia nella popolazione anziana potrebbero rappresentare un’importante leva di sanità pubblica, in grado di rallentare l’incidenza della demenza senile a livello globale.

Fonte:

JAMA Otolaryngology–Head & Neck Surgery

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