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Dall’assistenza clienti alla scrittura, l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mondo del lavoro. Alcuni settori prosperano, altri tremano. E anche il giornalismo non è immune
A Las Vegas, durante il recente evento HumanX AI, un cartello ha attirato l’attenzione più di qualsiasi slide: “Stop Hiring Humans”. Una provocazione, certo, ma neanche troppo velata. Il messaggio riassume bene lo spirito di una parte del settore tech che non ha più timore di affrontare la questione centrale: l’impatto dell’intelligenza artificiale sui posti di lavoro.
La startup californiana Artisan, ad esempio, ha dichiarato apertamente le sue intenzioni. “Non abbiamo paura di parlare chiaro. Vogliamo accendere la discussione”, ha detto Fahad Alam, cofondatore dell’azienda. Artisan ha sviluppato agenti AI capaci di identificare clienti potenziali, scrivere email, fissare appuntamenti e curare vendite. L’agente tipo, chiamata Ava, “costa il 96% in meno rispetto a un umano per le stesse mansioni”, si legge sul sito ufficiale.
L’efficienza promette risparmi, ma solleva dubbi etici
Secondo molti venture capitalist, l’AI non dovrebbe essere vista solo come uno strumento di taglio del personale. “Non si tratta tanto di sostituire i dipendenti quanto di valorizzarli per le attività dove servono le capacità umane”, afferma Josh Constine di SignalFire.
Ma i numeri raccontano una realtà più sfumata. Goldman Sachs prevede che l’automazione spinta dall’intelligenza artificiale possa eliminare fino a 300 milioni di posti di lavoro nel mondo. Il report Metrigy 2024 mostra che l’89% delle aziende intervistate ha già ridotto il personale dell’assistenza clienti a causa dell’AI.
Dall’altro lato, il World Economic Forum evidenzia come il 70% delle grandi aziende preveda nuove assunzioni per figure con competenze AI. “È un’evoluzione naturale. Come l’automobile ha creato nuovi settori, l’intelligenza artificiale farà lo stesso”, commenta Joe Murphy della startup D-iD, oggi partner di Microsoft.

Quali professioni sono davvero a rischio con l’AI?
Alcune categorie sono più esposte di altre. Il rischio è maggiore dove il lavoro è ripetitivo, standardizzabile, o basato sulla gestione di grandi volumi di dati e interazioni. Secondo gli analisti, le professioni più vulnerabili sono:
- Operatori di call center: già sostituiti in molte aziende da chatbot e agenti virtuali.
- Programmatori: compiti di base sempre più automatizzabili dai modelli generativi.
- Traduttori: in particolare nei testi tecnici o commerciali, dove l’AI raggiunge già alti livelli di precisione.
- Agenti di viaggio: itinerari personalizzati e prenotazioni automatizzate da strumenti AI.
- Assistenti amministrativi e segretarie: il loro calo occupazionale è iniziato già con la digitalizzazione.
Anche i giornalisti nel mirino: ma non tutti allo stesso modo
La categoria giornalistica non è immune. Oggi l’intelligenza artificiale può generare testi su eventi sportivi, finanza, meteo e altri contenuti “da comunicato”. Il rischio di sostituzione esiste per chi si limita a riscrivere o produrre testi automatizzabili.
Ma non tutto è perduto: l’intelligenza artificiale non può condurre interviste, fare inchieste, costruire relazioni con le fonti o contestualizzare le notizie in modo critico. Il giornalismo investigativo, scientifico e culturale resta insostituibile.
Come in ogni rivoluzione tecnologica, il valore si sposterà verso chi sa usare l’AI come strumento, non come sostituto. “Chi scrive solo per l’algoritmo rischia. Chi scrive per le persone, no”, si potrebbe dire.
Una trasformazione inevitabile, ma serve più trasparenza
I dati del Dipartimento del Lavoro USA confermano che la trasformazione è in atto da decenni. Tra il 1992 e il 2023, i posti per segretarie sono scesi da 4,1 a 3,4 milioni, mentre quelli per informatici sono più che raddoppiati, passando da mezzo milione a oltre 1,2 milioni.
Ma c’è chi invita alla cautela. “Vendere un software che sostituisce parte del team non è semplice”, ha dichiarato Tomasz Tunguz di Theory Ventures. E secondo Fahad Alam, “alcuni clienti non vogliono far sapere di usare agenti AI”.
Il professore Mark Hass dell’Arizona State University lancia un avvertimento: “Parlare delle implicazioni dell’AI non indebolisce la tecnologia. Ma il silenzio può generare incomprensioni e backlash”. Una rivoluzione, insomma, che non si può ignorare, ma va gestita con onestà.