L’inflazione spinge verso diete meno sane

Molte famiglie costrette a tagliare i costi a danno della propria salute. Il rischio di consumare i cibi ultra-processati, poveri di nutrienti

L’aumento dei prezzi sta rivoluzionando le abitudini alimentari, spingendo sempre più famiglie a rinunciare a frutta, verdura e pesce fresco in favore di cibi ultra-processati, più economici ma molto meno salutari. Secondo studi recenti, il costo elevato dei prodotti freschi costringe anche chi ha sempre adottato stili di vita sani a fare compromessi. Nel 2023, l’olio d’oliva è aumentato del 50%, così come uova e frutta, rendendo difficile l’accesso a cibi nutrienti. La conseguenza? Una spesa sempre più “povera” e una dieta che, nel tempo, può nuocere seriamente alla salute.

Molti, per abbattere i costi, scelgono alimenti pronti e confezionati, ricchi di grassi, zuccheri e sale. Ma questo cambio di abitudini alimentari è allarmante: numerosi studi indicano un legame diretto tra questi prodotti e l’insorgenza di malattie croniche come diabete, obesità, patologie cardiovascolari, depressione, declino cognitivo e persino cancro.

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I prezzi bassi attraggono, ma i costi sanitari saranno alti

Secondo la CNN, “fino al 70% dell’offerta alimentare negli Stati Uniti è costituito da alimenti ultra-processati”. E ora, anche nei paesi della dieta mediterranea, come l’Italia, l’inflazione alimentare sta favorendo l’ingresso massiccio di questi prodotti nei carrelli della spesa.

Su questo punto, però, le opinioni divergono. “Classificare gli alimenti come non salutari solo perché sono processati è fuorviante”, afferma Sarah Gallo, vicepresidente della Consumer Brands Association, sottolineando che “non esiste una definizione scientifica universalmente accettata per gli alimenti ultra-processati”. Di tutt’altro avviso la ricercatrice Tera Fazzino, che ha studiato l’iper-palatabilità di questi alimenti: “Stimolano i recettori degli oppioidi nel cervello, creando un effetto simile alle droghe e aumentando il desiderio di consumo”.

Sostituire i cibi freschi: una scelta pericolosa

Quando i prodotti freschi diventano troppo cari, molte famiglie scelgono sostituti più economici, spesso nocivi. Il succo industriale prende il posto della frutta fresca, le zuppe pronte sostituiscono le verdure, il surimi rimpiazza il pesce, e ai formaggi genuini si preferiscono versioni più grasse e meno nutrienti. Questa tendenza impoverisce la qualità della dieta e aumenta il rischio di malattie metaboliche e cardiovascolari.

Gli alimenti ultra-processati sono più accessibili, ma non forniscono lo stesso apporto nutrizionale. A lungo termine, questo squilibrio rischia di minare la salute pubblica e aumentare la pressione sui sistemi sanitari.

Un problema di salute pubblica da non sottovalutare

Le conseguenze si vedono già: obesità, diabete, infarti e ictus aumentano nei paesi dove domina una dieta industriale. “L’inflazione alimentare non è solo una questione economica, ma una minaccia crescente per la salute pubblica”, affermano gli esperti. Se non si interviene, assisteremo a un aumento esponenziale delle malattie croniche e a un peggioramento della qualità della vita, soprattutto per le fasce più vulnerabili della popolazione.

Occorrono politiche urgenti che non solo gestiscano i prezzi, ma che promuovano una cultura alimentare più sana, consapevole e alla portata di tutti.

Frutta e verdura per una buona salute

La soluzione passa anche da abitudini alimentari più consapevoli. Gli studi indicano che 600 grammi al giorno di frutta e verdura possono ridurre drasticamente il rischio di ictus e malattie coronariche. Ma se i prezzi continueranno a salire, anche questo obiettivo diventerà irraggiungibile per molte famiglie.

Per tutelare la salute collettiva, serve un cambio di rotta: rendere cibi freschi e nutrienti economicamente accessibili è una delle sfide più urgenti per le istituzioni.

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