L’Ibuprofene minaccia gli ecosistemi marini

Secondo un recente studio i depuratori non riescono a trattarlo e finisce irrimediabilmente in mare, danneggiando gli ecosistemi

L’ibuprofene è tra i farmaci più utilizzati in Italia, con un consumo in costante aumento. Tuttavia, il suo utilizzo diffuso ha conseguenze ambientali preoccupanti: una volta espulso dall’organismo, il principio attivo finisce nelle acque reflue, dove i depuratori non riescono a eliminarlo completamente. Il risultato? Raggiunge fiumi e mari, danneggiando l’ecosistema. Un recente studio condotto dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, pubblicato sulla rivista Journal of Hazardous Materials, ha analizzato il suo impatto su Cymodocea nodosa, una pianta acquatica essenziale per la biodiversità marina.

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Il consumo di ibuprofene in Italia è in crescita

Secondo il rapporto OsMed 2023 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), l’ibuprofene è il secondo farmaco per spesa in Italia dopo il paracetamolo. Nel 2023 ha registrato un aumento del consumo del 3,4%, raggiungendo una spesa complessiva di 275,8 milioni di euro e una media pro capite di 4,69 euro. L’impiego del farmaco è particolarmente elevato nella fascia pediatrica e viene spesso utilizzato per trattare febbre e dolori muscolari. Secondo l’AIFA, l’aumento della domanda è legato alla diffusione delle sindromi influenzali e alla gestione dei sintomi post-Covid.

Gli impianti di depurazione non bastano a fermarlo

L’ibuprofene entra nell’ambiente attraverso urine e feci, sia umane che animali. Sebbene i depuratori siano progettati per eliminare gran parte degli inquinanti, la loro capacità di abbattimento dell’ibuprofene varia tra il 6% e il 100%, con una media dell’87%. Questo significa che una parte del farmaco finisce inevitabilmente in mare, dove si accumula nel tempo.

Anche concentrazioni molto basse possono avere un impatto cronico sugli ecosistemi“, spiega Elena Balestri, coautrice dello studio. Le aree costiere sono particolarmente vulnerabili, poiché ricevono direttamente l’inquinamento proveniente dai fiumi e dagli scarichi urbani.

L’impatto dell’ibuprofene sulla vita marina

Gli scienziati dell’Università di Pisa hanno analizzato gli effetti dell’ibuprofene sulla Cymodocea nodosa, una pianta marina che forma praterie sottomarine fondamentali per la biodiversità.

Volevamo capire se questa pianta fosse in grado di assorbire e metabolizzare il farmaco“, spiega Virginia Menicagli, prima autrice dello studio. “La risposta è stata no“. Dopo dodici giorni di esposizione, il farmaco era ancora presente nell’acqua, senza essere stato assorbito dalla pianta. Inoltre, alle concentrazioni più alte, l’ibuprofene ha provocato stress ossidativo e danni alla fotosintesi, compromettendone la crescita.

Queste piante formano praterie sottomarine fondamentali per la biodiversità“, continua Menicagli. “Se iniziano a scomparire, l’impatto si riflette su tutto l’ambiente“.

Alcune piante acquatiche terrestri, come le cannucce di palude (Phragmites), riescono ad assorbire e detossificare l’ibuprofene grazie a enzimi specializzati. “Pensavamo che la Cymodocea nodosa potesse fare lo stesso”, aggiunge la ricercatrice. “Ma non è così”.

L’Ibuprofene può danneggiare anche la fauna marina?

Se il farmaco ha effetti negativi sulle piante, cosa succede agli animali marini?

Gli studi in questo campo sono ancora pochi“, sottolinea Balestri. Tuttavia, alcune ricerche sulle alghe unicellulari hanno già evidenziato stress ossidativo e alterazioni della fotosintesi. Per alcune macroalghe più grandi, invece, non si sono riscontrati effetti significativi. Più chiari, invece, i danni ai mitili come le cozze: l’ibuprofene ha mostrato effetti genotossici, con possibili implicazioni per l’intera catena alimentare marina.

Le piante acquatiche come Cymodocea nodosa e Posidonia oceanica sono considerate “ingegneri ecosistemici”, perché contribuiscono alla stabilità dell’ambiente marino. Le loro radici stabilizzano i fondali, mentre le foglie filtrano le particelle in sospensione, migliorando la qualità dell’acqua. Inoltre, hanno un ruolo fondamentale nella lotta contro il cambiamento climatico, grazie alla loro capacità di immagazzinare carbonio.

Smaltire correttamente i farmaci per ridurre l’inquinamento

Oltre alla dispersione tramite i reflui biologici, una parte dell’inquinamento da ibuprofene è dovuta allo smaltimento scorretto dei farmaci. Molti cittadini gettano medicinali scaduti nei rifiuti domestici o, peggio ancora, li versano direttamente negli scarichi. Secondo il Ministero della Salute, solo una parte dei farmaci viene smaltita correttamente negli appositi contenitori delle farmacie. La mancanza di informazioni chiare e iniziative di sensibilizzazione porta a una gestione inadeguata di questi rifiuti. I medicinali scaduti dovrebbero essere conferiti nei contenitori delle farmacie e nei centri di raccolta comunali, mentre compresse e liquidi non dovrebbero mai finire negli scarichi domestici.

Verso farmaci più sostenibili: il Green Pharmacy Concept

A livello europeo, sono in corso iniziative per ridurre l’impatto ambientale dei farmaci. Il Green Pharmacy Concept è un modello che punta a sviluppare farmaci più biodegradabili, migliorare i sistemi di filtrazione degli impianti di depurazione e coinvolgere le aziende farmaceutiche nella gestione dell’inquinamento. Tuttavia, per ridurre realmente il problema è necessaria anche una trasformazione culturale: servono maggiore consapevolezza da parte dei consumatori e politiche concrete per limitare il rilascio di farmaci nelle acque reflue.

Lo studio dell’Università di Pisa rappresenta solo un primo passo: per comprendere pienamente l’impatto dell’ibuprofene sugli ecosistemi marini, saranno necessarie ulteriori ricerche che coinvolgano più specie vegetali e animali. “Al momento siamo impegnati in altri progetti, ma speriamo di poter riprendere presto questa linea di ricerca“, conclude Menicagli. “Abbiamo appena iniziato a scoprire cosa sta succedendo nei nostri mari“.

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