Endometriosi, sviluppata una nuova cura non ormonale

Si apre la strada a trattamenti mirati e, cosa ancor più importante, più efficaci

L’endometriosi colpisce circa 200 milioni di donne nel mondo, causando dolori pelvici intensi e problemi di fertilità. Si tratta di una malattia in cui il tessuto simile a quello che riveste l’interno dell’utero cresce in altre aree del corpo, spesso in modo invisibile e doloroso. Eppure, nonostante sia comune quanto il diabete di tipo 2 o l’artrite reumatoide, è ancora poco conosciuta, sia tra la popolazione che tra i medici. Molte pazienti aspettano anche 10 anni per ricevere una diagnosi corretta.

Ora, una nuova ricerca condotta dalla Michigan State University (MSU) promette un cambiamento significativo: un trattamento non ormonale che potrebbe rivoluzionare la cura dell’endometriosi. I risultati, finanziati dal National Institutes of Health e dalla Endometriosis Foundation of America, sono stati pubblicati sulla rivista iScience.

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La malattia può iniziare in età molto precoce

Nella maggior parte dei casi, l’endometriosi inizia già durante l’adolescenza. “In alcune ragazze, i sintomi si manifestano già a otto anni, con dolori pelvici intensi che si protraggono per anni, interferendo con la scuola e la vita sociale”, ha spiegato il professor Asgerally Fazleabas, docente alla MSU e coautore dello studio.

Diagnosticare la malattia non è semplice. “L’unico modo certo è eseguire una laparoscopia”, ha detto Fazleabas, “ma molti medici sono restii a ricorrere a un intervento chirurgico su pazienti così giovani”. Anche nelle donne adulte, la presenza di patologie come fibromi o adenomiosi può rendere la diagnosi ancora più complicata.

Capire il dialogo tra cellule per nuove terapie

Lo studio di MSU ha analizzato come le cellule epiteliali presenti nelle lesioni endometriosiche interagiscono con i macrofagi, le cellule del sistema immunitario. Secondo Fazleabas, “le cellule epiteliali riescono a comunicare selettivamente con i macrofagi e a modificarne la funzione”.

I macrofagi normalmente aiutano a difendere l’organismo, controllare l’infiammazione e riparare i tessuti. Ma all’interno delle lesioni endometriosiche, sembrano assumere un ruolo opposto. “Invece di eliminare il tessuto anomalo, lo aiutano a crescere”, ha spiegato Fazleabas. Questo comportamento anomalo potrebbe favorire la progressione della malattia.

Un punto di partenza per nuove terapie mirate

Ciò che abbiamo scoperto – conclude Fazleabas – è che il dialogo tra cellule epiteliali e macrofagi può creare un ambiente favorevole allo sviluppo dell’endometriosi”. Questa nuova comprensione dei meccanismi cellulari offre una base per sviluppare terapie mirate che non si basino su trattamenti ormonali, spesso difficili da tollerare o inadatti a lungo termine.

Il lavoro apre quindi prospettive concrete per nuove strategie terapeutiche, più efficaci e meno invasive, che possano migliorare la qualità della vita delle persone affette da questa patologia cronica e debilitante.

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