Uno studio svela lo stretto legame tra le dimensioni e il rischio tumore, ma l’evoluzione ha trovato soluzioni sorprendenti
Un’idea diffusa da decenni sostiene che gli animali più grandi dovrebbero avere una maggiore incidenza di cancro. Se il tumore nasce da cellule che si moltiplicano in modo incontrollato, specie con un numero più elevato di cellule, come elefanti e balene, dovrebbero essere particolarmente colpite. Tuttavia, fino a oggi, le prove scientifiche a sostegno di questa ipotesi erano scarse.
Un nuovo studio, condotto su oltre 260 specie tra mammiferi, uccelli, rettili e anfibi, ha finalmente testato questa teoria. I ricercatori hanno scoperto che gli animali di dimensioni maggiori effettivamente presentano una maggiore incidenza di tumori rispetto a quelli più piccoli. Ma la biologia ha trovato soluzioni sorprendenti per contrastare il problema.
Peto’s paradox: il mistero degli animali longevi e sani
Negli anni ‘70, lo scienziato Richard Peto osservò un fenomeno curioso: le specie di grandi dimensioni e lunga vita, come gli elefanti, non sembravano sviluppare tumori più frequentemente rispetto a piccoli mammiferi, come i topi. Questo apparente paradosso suggeriva che gli animali più grandi dovessero aver sviluppato meccanismi di difesa naturali contro il cancro.
Alcuni studi hanno confermato questa ipotesi. Ad esempio, gli elefanti asiatici possiedono oltre 20 copie del gene TP53, un soppressore tumorale, mentre gli esseri umani ne hanno solo una. Tuttavia, la ricerca ha finora trovato poche prove di questa strategia su un’ampia gamma di specie animali.
Il nuovo studio sfida il paradosso di Peto
Per risolvere il mistero, i ricercatori hanno analizzato dati sulla prevalenza del cancro in centinaia di specie provenienti da istituzioni faunistiche. Hanno confrontato la frequenza dei tumori tra animali di diversa taglia e usato avanzate tecniche statistiche per individuare eventuali schemi ricorrenti.
I risultati hanno rivelato che le specie più grandi tendono ad avere una maggiore incidenza di tumori. Questo dato mette in discussione la visione tradizionale del paradosso di Peto. Tuttavia, lo studio ha anche scoperto un fattore chiave che cambia la prospettiva: la velocità con cui una specie ha raggiunto grandi dimensioni nel corso dell’evoluzione.
L’evoluzione accelera le difese contro il cancro
Le specie che hanno raggiunto grandi dimensioni più rapidamente sembrano avere sviluppato meccanismi più efficaci di protezione contro il cancro. Ad esempio, il delfino comune (Delphinus delphis), così come la maggior parte dei cetacei, ha aumentato la propria massa corporea tre volte più velocemente rispetto alla media dei mammiferi. Eppure, questi animali mostrano una minore incidenza di tumori rispetto a quanto previsto.
I ricercatori ipotizzano che l’evoluzione abbia fornito a queste specie mutazioni più lente o meccanismi avanzati di riparazione del DNA, riducendo il rischio di cancro. Ciò spiegherebbe perché alcune specie di grandi dimensioni siano sorprendentemente resistenti ai tumori, senza contraddire il principio dell’evoluzione verso dimensioni maggiori (noto come Regola di Cope).
Perché anfibi e rettili non seguono lo stesso schema?
Non tutti i gruppi animali, però, mostrano lo stesso adattamento. Lo studio ha evidenziato che anfibi e rettili non hanno sviluppato gli stessi meccanismi protettivi di mammiferi e uccelli. In questi gruppi, la crescita corporea è direttamente proporzionale all’incidenza dei tumori, indipendentemente dalla velocità con cui hanno evoluto grandi dimensioni.
Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nelle loro capacità rigenerative. Ad esempio, alcune specie di salamandra possono rigenerare interi arti, un processo che richiede un’intensa attività cellulare. Tuttavia, la continua divisione cellulare potrebbe offrire maggiori opportunità per lo sviluppo di cellule tumorali.
Cosa insegna questa ricerca alla medicina umana?
Capire come le specie animali hanno sviluppato difese naturali contro il cancro potrebbe ispirare nuove strategie per la medicina umana. Ad esempio, i ratti talpa glabri sono noti per avere un’incidenza di cancro estremamente bassa, e gli scienziati stanno cercando di comprendere i segreti della loro resistenza.
Lo studio suggerisce che il modo in cui l’evoluzione ha modellato le difese contro il cancro potrebbe offrire spunti per nuove terapie. Studiando il modo in cui diverse specie gestiscono la proliferazione cellulare, potremmo scoprire meccanismi naturali di prevenzione e trovare nuove strade per combattere il cancro negli esseri umani.