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Uno studio dell’Università di Osaka dimostra che i tessuti umani possono elaborare informazioni rapidamente: ecco come funziona il calcolo biologico
Immaginare un mondo in cui il nostro corpo diventa il motore dei calcoli informatici non è più solo fantascienza. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista IEEE Access da Yo Kobayashi, ricercatore dell’Università di Osaka, i tessuti viventi possono essere utilizzati per risolvere equazioni complesse, esattamente come fa un computer. Il cuore di questo approccio si basa sul principio del reservoir computing, una tecnica che sfrutta sistemi fisici o dinamici per elaborare informazioni.
Nel dettaglio, i dati vengono immessi in un sistema complesso – il “reservoir” – che li trasforma in schemi ricchi e articolati. Un modello di rete neurale apprende poi a convertire questi schemi in risultati significativi. “Ci sono poche ricerche che utilizzano organismi viventi come reservoir, e finora nessuna che impieghi tessuti umani in vivo”, spiega Kobayashi. Eppure, è proprio quello che ha fatto il suo team.
Come funziona il calcolo basato sul corpo umano
Per verificare se i tessuti umani potessero funzionare come un sistema di elaborazione, Kobayashi ha coinvolto dei volontari, chiedendo loro di flettere il polso in diverse angolazioni. I movimenti muscolari sono stati registrati tramite ecografie, producendo dati biomeccanici che hanno alimentato un “reservoir biofisico”.
Secondo Kobayashi, un buon reservoir deve possedere “complessità e memoria”. Ed è qui che entrano in gioco le proprietà intrinseche dei tessuti molli: “Le risposte meccaniche dei muscoli mostrano naturalmente non linearità tensione-deformazione e viscoelasticità, caratteristiche perfette per un sistema di calcolo”. In pratica, il nostro corpo contiene già ciò che serve per elaborare dati in modo efficiente.

I test dimostrano che il corpo elabora meglio
Per valutare l’efficacia del suo modello, Kobayashi ha messo a confronto i risultati ottenuti dal reservoir biologico con quelli della regressione lineare tradizionale. Il sistema basato sui tessuti umani ha superato il metodo standard con un’accuratezza superiore di un ordine di grandezza.
I risultati dei test hanno confermato che i tessuti viventi non solo possono svolgere operazioni complesse, ma lo fanno anche meglio rispetto ad alcuni algoritmi convenzionali. Questo risultato apre la strada a nuove prospettive nel campo dell’informatica biologica.
Presto i primi dispositivi indossabili intelligenti
Le potenzialità di questa scoperta sono enormi, soprattutto nel campo della tecnologia indossabile. “In futuro, potrebbe essere possibile utilizzare i nostri stessi tessuti come risorsa computazionale”, sottolinea Kobayashi.
Poiché i tessuti molli sono presenti in tutto il corpo, è ipotizzabile che un dispositivo wearable possa delegare parte dei calcoli al corpo stesso, migliorando le prestazioni senza appesantire l’hardware. Questo scenario non solo ridurrebbe i consumi energetici, ma potrebbe anche rendere i dispositivi più reattivi e adattivi.
Verso l’informatica organica
Adesso che il principio è stato dimostrato, il gruppo di ricerca punta ad aumentare la capacità di calcolo del sistema, per affrontare operazioni ancora più complesse. Kobayashi intende inoltre esplorare altri materiali biologici come potenziali reservoir.
Se queste ricerche andranno a buon fine, potremmo assistere a una rivoluzione: l’apprendimento automatico potrebbe lasciare il posto all’apprendimento organico, dove il nostro stesso corpo diventa parte dell’intelligenza artificiale.