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Secondo Ispra e l’Agenzia europea per l’ambiente, l’aria è più pulita ma resta letale: il settore energetico è il principale responsabile delle emissioni
In Italia la qualità dell’aria sta migliorando, ma non abbastanza da tutelare davvero la salute pubblica. Secondo i nuovi dati diffusi dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), pubblicati in concomitanza con il report dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), l’inquinamento atmosferico è ancora responsabile di decine di migliaia di morti premature ogni anno. Il dato più allarmante riguarda le 48.600 morti causate dalle polveri sottili (PM2.5), cui si aggiungono 13.600 decessi attribuibili all’ozono (O3) e 9.600 al biossido di azoto (NO2).
A documentare questa realtà è un’analisi pubblicata su GreenReport.it a firma di Luca Aterini, che rielabora le ultime evidenze dell’Italian emission inventory 2023 e le confronta con gli standard europei e le soglie raccomandate dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nonostante i miglioramenti strutturali, l’inquinamento atmosferico continua a colpire in modo trasversale l’ambiente e la popolazione, con effetti sanitari sempre più documentati.
Emissioni in calo dal 1990, ma resta il peso del settore energetico
Le direttive UE e le tecnologie più pulite aiutano, ma non bastano
Il bilancio dal 1990 al 2023 mostra un calo significativo per quasi tutti gli inquinanti monitorati: -96% per gli ossidi di zolfo (SOX), -74% per gli ossidi di azoto (NOX), -73% per il monossido di carbonio (CO) e -57% per i composti organici volatili non metanici (NMVOC). In netto calo anche metalli pesanti come cadmio (-62%), mercurio (-65%) e piombo (-95%). Secondo l’Ispra, «i principali driver del trend sono costituiti dalle riduzioni nei settori industriale e del trasporto su strada», grazie all’attuazione di diverse Direttive europee, che hanno introdotto limiti più stringenti alle emissioni e promosso carburanti più puliti.
Tuttavia, il comparto energetico – in senso esteso – continua a rappresentare la principale sorgente di emissioni: oltre l’80% per SOX, NOX, CO, PM2.5, BC, IPA e HCB. Il problema è che questo settore include una vasta gamma di attività, dalla produzione elettrica alle raffinerie, fino al riscaldamento residenziale e ai trasporti.

Altri settori critici: industria, agricoltura e rifiuti
Il dossier evidenzia anche il peso degli altri comparti. I processi industriali contribuiscono fortemente alle emissioni di particolato, metalli pesanti e sostanze organiche persistenti (POP), con picchi di SOX nella produzione di nerofumo e acido solforico. L’uso di solventi è invece associato all’emissione di composti organici volatili.
Particolarmente preoccupante il caso dell’agricoltura, che è la prima fonte nazionale di ammoniaca (NH3), con una quota del 91%. Anche il settore rifiuti, e in particolare l’incenerimento, continua a essere una fonte rilevante di emissioni per BC (10%), cadmio (10%), esaclorobenzene (9%) e diossine (17%).
I dati europei: aria più pulita, ma ancora fuori norma
Solo una minoranza delle stazioni rispetta le soglie OMS
Il rapporto Air quality status report 2025 dell’Eea conferma che l’aria in Europa è migliorata, ma permane una distanza significativa tra la situazione attuale e i target imposti dalle normative Ue o suggeriti dall’Oms. Solo il 59% delle stazioni di monitoraggio rispetta le soglie per il PM10, il 65% per il PM2.5, il 70% per l’NO2 e il 71% per l’ozono.
Guardando però agli standard OMS, molto più severi, la situazione peggiora: solo l’8% delle stazioni rientra nei limiti per il PM10, il 36% per il PM2.5, il 30% per l’NO2 e appena il 2% per l’ozono troposferico. Questi dati mostrano quanto sia ancora lungo il cammino per garantire davvero aria pulita ai cittadini europei, soprattutto nei grandi centri urbani.
In Italia situazione critica, con città a rischio sanzioni al 2030
In base al rapporto Mal’aria di Legambiente, oggi nessuna città italiana supera i limiti legali di PM10 e NO2 previsti dalla normativa attuale. Tuttavia, con l’entrata in vigore della nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria dal 1° gennaio 2030, lo scenario potrebbe cambiare drasticamente. Le nuove soglie si avvicinano molto di più a quelle dell’Oms: 20 µg/mc per il PM10, 10 µg/mc per il PM2.5, 20 µg/mc per l’NO2.
Se i livelli odierni restassero invariati, il 71% delle città italiane supererebbe i limiti per il PM10 e il 45% quelli per l’NO2, rischiando sanzioni e procedure di infrazione. Il tempo per agire c’è, ma non molto.